Mother and Child (2009), diretto da Rodrigo García, è un film che mi ha emozionata per come racconta le complessità dell’adozione e della maternità. Tuttavia, ho notato alcune semplificazioni che, forse, derivano dal fatto che si parla ancora troppo poco con gli adottati dei loro sentimenti e delle loro esperienze, concentrandosi invece sulle madri e sul loro dolore.
Leggi tutto: Mother and ChildTre sono le storie rappresentate: Karen, donna di mezza età tormentata dal ricordo della figlia che fu costretta a dare in adozione a 14 anni dalla madre, Nora, tutrice legale della neonata; Elizabeth, figlia biologica adottata, avvocatessa di successo, distaccata e incapace di costruire relazioni profonde: Lucy, una donna infertile che desidera adottare per diventare madre. Tre vite, tre punti di vista diversi sull’adozione, che si intrecciano in un racconto intenso ma, a tratti, ancorato a una narrazione che privilegia il punto di vista degli adulti.
Alcune scene e dialoghi del film mi hanno colpito particolarmente per la loro capacità di far emergere il dolore, le speranze e le contraddizioni legate all’adozione:
Karen, parlando con Nora, la madre anziana, che la ascolta in silenzio: “Tra poco è il suo compleanno, compie 37 anni.”
Questa frase apparentemente semplice racchiude tutta la vita sospesa di Karen, trascorsa nel rimpianto e nell’incapacità di lasciarsi alle spalle il passato. Nella scena successiva, Karen rivela a sua madre di avere una simpatia per il collega di lavoro, Paco. È emblematico il fatto che la madre la mette in guardia dimenticando che Karen ha 51 anni: “Stai attenta Karen, cerca di non metterti nei guai.”
Karen si confida con Paco, il fidanzato:
“Avrei una cosa da dirti. Ho avuto una bambina quando avevo 14 anni e l’ho data in adozione. Non so dove sia, non so chi sia. Ogni cosa che faccio, ogni pensiero che mi passa per la testa mi riporta a lei. Dovunque io vada, cerco il suo viso tra la gente. Io le scrivo lettere che non spedisco mai, le compro regali di compleanno, le ho dato un nome: Rachel. Non so se sia viva o no. Io non ho nient’altro, ecco chi sono. Non ho niente da dare.”
La risposta di Paco è un momento di rara comprensione: “Penso che dovresti cercarla, perché qualunque cosa succeda quando la incontrerai sarà meglio di quello che stai vivendo. Anche lei magari ti cerca. Ci hai mai pensato? Qual è la tua paura più grande?”
Karen, con voce spezzata: “Che mia figlia mi sputi in faccia.”
Karen dialoga con la domestica Amanda dopo la morte di Nora:
- Nora: “[Tua madre] ha detto che non eri felice, dava la colpa a se stessa. Ha detto di averti rovinato la vita ed era molto dispiaciuta di averlo fatto.”
- Karen, piangendo: “Perché non lo ha detto a me! Doveva dirlo a me!”
- Nora: “Penso che avesse paura di te, Karen.”
Elizabeth, si presenta al nuovo datore di lavoro, Paul, elencando la sua vita con tono distaccato:
“Sono stata data in adozione il giorno della mia nascita, mia madre aveva 14 anni. Mio padre adottivo è morto quando avevo dieci anni, non sono in contatto con mia madre adottiva. Ho vissuto da sola dai 17 anni. Ho scelto io il mio nome. Ritengo che la mia indipendenza sia al di sopra di tutto, così non devo essere all’altezza delle aspettative degli altri.”
Lucy si candida con il marito Joseph per l’adozione nell’ufficio di sister Joanne: “Siamo sposati da quattro anni e non ci siamo riusciti, non è destino che succeda, abbiamo accettato la realtà, ma non ne siamo amareggiati, possiamo essere dei bravi genitori. Potremo imparare ad amare un bambino in un istante anche se non fosse nostro. Siamo pronti adesso per l’adozione, il sangue è importante ma è il tempo che trascorso insieme che conta.”
Lucy, discutendo dell’iter adottivo con sua madre Ada:
- Lucy: “Dobbiamo incontrare una donna mercoledì, è incinta di sei mesi.”
- Ada: “E ha deciso solo adesso di dare in adozione il bambino?”
- Lucy: “No, pare che abbia già visto e scartato un paio di coppie.”
- Ada: “Scartato? Chi approva chi? Sarebbe il caso di dirle che siete voi a farle un favore!”
- Lucy: “Non è una questione di favori. Ognuno di noi cerca solo di stare meglio.”
- Ada: “Sai, ci sono tanti punti di vista oggigiorno, ma la maternità dovrebbe essere una cosa molto più semplice di tutto questo!”
La scenata di Lucy in ospedale:
Dopo che la madre naturale cambia idea e decide di tenere il bambino, Lucy ha un crollo emotivo nel corridoio, e grida disperata: “Quello è il mio bambino!” Questo momento, pur intenso, rivela un approccio possessivo e superficiale all’adozione, come se fosse un diritto acquisito per risolvere il proprio vuoto.
A mio avviso i punti a favore del film sono:
- Narrazione emotivamente coinvolgente
Il film esplora con delicatezza il dolore dell’abbandono e della separazione, mostrando come ogni personaggio lo affronti a suo modo: il rimpianto di Karen che ne fa una donna dura e difficile, la tendenza al controllo e la corazza emotiva di Elizabeth, e il desiderio un po’ infantile di Lucy di diventare madre a tutti i costi. Si evincono chiaramente il peso delle scelte, il senso di vuoto, il desiderio di appartenenza e la ricerca di riconciliazione con le proprie origini. - Pluralità dei punti di vista
La narrazione dà spazio a tre prospettive differenti: la madre biologica che vive nel rimorso, l’adottata che si confronta (o evita di confrontarsi) con la propria identità, e la madre adottiva alle prese con le difficoltà del processo adottivo e dell’attesa di coronare il suo sogno. - Il riconoscimento del dolore
È significativo che il film non banalizzi il dolore dell’abbandono né lo riduca a un dettaglio superabile con l’amore adottivo. Karen ed Elizabeth incarnano questo dolore in modi opposti ma autentici: Karen, intrappolata nei rimorsi e nei ‘se’, vive costantemente tesa e poco predisposta alle relazioni sociali e amorose. Fatica ad accettare in casa la presenza della figlia della domestica, una vivace bambina che le ricorda la maternità mancata e riaccende il suo senso di perdita. Elizabeth, invece, affronta le relazioni come un gioco da controllare, per evitare di esporsi al rischio di un ulteriore abbandono. Il suo distacco glaciale maschera una rabbia irrisolta, pronta a esplodere nei momenti in cui perde il controllo sulla propria vita, come quando insulta la Dr. Stone che le comunica inaspettatamente di essere incinta, nonostante si fosse fatta legare le tube.
Uno dei punti da migliorare in una prossima pellicola è la semplificazione del processo di riunificazione. Il film lascia intendere che l’incontro tra madre biologica e figlia possa risolvere ogni conflitto interiore, ma questa è una visione riduttiva. Per un’adottata, la ricostruzione dell’identità è un percorso lungo e personale, che non può dipendere solo da un singolo incontro. Questo rende poco realistico il repentino cambiamento di Elizabeth, che da distaccata e fredda verso la propria storia adottiva decide improvvisamente di lasciare una lettera alla madre biologica.
Un altro aspetto da approfondire meglio è l’adozione vissuta come risposta al vuoto genitoriale. Lucy incarna il desiderio di colmare l’infertilità con l’adozione, ma il film non esplora abbastanza l’impatto che questo approccio può avere sul bambino adottato. Situazioni come la proposta immediata di un bambino ‘sostitutivo’ da parte di Sister Joanne, dopo la crisi infantile di Lucy davanti alla neonata non più disponibile, banalizzano la complessità del processo adottivo e sminuiscono la centralità del bambino.
Mother and Child è uno dei migliori film sui temi dell’adozione, ma lascia spazio a riflessioni critiche. Il vissuto dell’adottato resta marginale e semplificato. Personalmente, avrei voluto un maggiore approfondimento di Elizabeth e delle sue difficoltà di appartenenza, un aspetto cruciale che chi vive l’adozione conosce bene, ma che viene spesso ignorato. Nonostante i suoi limiti, il film è un tentativo coraggioso di sensibilizzare sul tema e offre spunti di riflessione importanti per chiunque voglia comprendere meglio le complessità dell’adozione.