Un’amica mi ha fatto riscoprire un vecchio film del 1995, Lontano da Isaiah (Losing Isaiah), che trovo ancora oggi estremamente attuale. Tratto dal romanzo di Seth Margolis, racconta una storia di amore, dolore e riconciliazione, esplorando uno dei temi più complessi dell’adozione: il diritto alle proprie origini e a preservare l’identità etnica. Al centro della vicenda c’è Isaiah, un bambino afroamericano, e due donne che lo amano profondamente: la madre biologica Khaila Richards e la madre adottiva Margaret Lewin, assistente sociale.
Leggi tutto: Lontano da IsaiahKhaila è una giovane donna afroamericana segnata da un passato difficile di abbandoni, povertà e dipendenza da crack. Cresciuta in un ambiente disfunzionale, senza una famiglia che la proteggesse, è caduta vittima della droga e vive in condizioni di estrema marginalità. Durante uno di questi momenti disperati, Khaila, in preda all’astinenza, abbandona momentaneamente Isaiah vicino a un cassonetto. Il neonato viene trovato e salvato in extremis dalla pressa dell’autocompattatore, e successivamente adottato dalla famiglia Lewin, una coppia bianca e benestante. Non avendo notizie della madre biologica, le autorità procedono con l’adozione senza il suo consenso. Isaiah cresce circondato dall’amore dei Lewin, in particolare di Margaret, con cui sviluppa un legame profondo che però fa sentire trascurata la figlia biologica della coppia, Hannah.
Col tempo, Khaila riesce a ricostruirsi una vita attraverso un lavoro stabile e l’acquisto di una casa. Convinta di aver ucciso Isaiah abbandonandolo tra l’immondizia, è divorata dal rimorso: il mattino era tornata a prenderlo e, disperata, non l’aveva più trovato. Quando scopre che suo figlio è vivo, con il supporto di un avvocato intraprende una battaglia legale per riaverlo.
Con un approccio appassionato, l’avvocato Kadar Lewis si batte per Khaila non solo in termini legali, ma anche in termini umani, contro un sistema che spesso giudica le madri vulnerabili senza offrire loro il supporto necessario.
“La cultura e le radici di Isaiah non sono accessori, sono parte di chi è. Separarlo da tutto ciò significa negargli una parte di sé.” Tuona in aula l’avvocato Kadar, evidenziando come il contesto culturale ed etnico di Isaiah sia fondamentale per la sua identità e benessere emotivo, e mettendo in discussione se l’adozione in una famiglia di etnia diversa possa davvero rispettare questi aspetti.
“Questo non è solo un caso di custodia, è una questione di diritti civili.” Kadar sottolinea che il caso di Khaila va oltre la questione legale individuale; si tratta di una questione più ampia di giustizia sociale e di equità, dato che Khaila ha perso suo figlio in un contesto di vulnerabilità sociale.
Da qui si sviluppa un dramma intenso e doloroso, in cui si scontrano l’amore di due madri e le implicazioni legali di un’adozione avvenuta senza il consenso della madre biologica. Margaret è fermamente convinta di essere la scelta migliore per Isaiah, anche perché Khaila, nella sua visione, rappresenta un passato di degrado ed è una donna inaffidabile. Khaila, d’altra parte, cerca di dimostrare che, nonostante gli errori, ha diritto a crescere suo figlio ed è pronta a offrirgli tutto l’amore e la stabilità di cui ha bisogno.
La storia di Isaiah mette in luce anche un tema importante e spesso ignorato: il pregiudizio verso le madri che abbandonano. Spesso la società etichetta le madri biologiche che lasciano i figli come “cattive e incapaci,” dando per scontato che dietro l’abbandono ci siano motivi futili o un’incuria imperdonabile. Tuttavia, la vicenda di Khaila mostra che dietro questi gesti estremi si possono celare storie di traumi profondi, povertà e mancanza di opportunità. Chi vive in un contesto privilegiato o agiato spesso non riesce a capire come ci si possa ritrovare, anche contro la propria volontà, in situazioni di scelte estreme. È facile emettere giudizi che finiscono per punire madri come Khaila, che hanno solo bisogno di aiuto, sottraendo loro il diritto di crescere i propri figli.
“Non possiamo permettere che la povertà sia la sola ragione per cui una madre perde suo figlio.” Qui l’avvocato affronta il pregiudizio di classe che pesa su Khaila. “Khaila ha avuto delle difficoltà, ma ha lottato per superarle. E ora che è pronta, non dovremmo privarla del diritto di essere madre.” L’avvocato difende Khaila come madre, ricordando che le difficoltà passate non annullano il suo diritto e la sua capacità di crescere Isaiah adesso che ha raggiunto una stabilità.
SPOILER: Il giudice decide di restituire Isaiah alla madre biologica, riconoscendo il legame di sangue e l’appartenenza etnica di Isaiah. In un atto di saggezza e generosità, Khaila, consapevole dell’affetto di Isaiah per Margaret, invita quest’ultima a condividere con lei la crescita del bambino. Questa scelta, che si avvicina all’idea di un’adozione aperta, rappresenta un momento di grande umanità e buon senso, un atto che il giudice non aveva considerato. Il sistema giudiziario si era limitato infatti a una decisione legale, senza tenere conto dei sentimenti di Isaiah. Khaila compie un gesto inclusivo che rispetta i legami affettivi già formati.
La storia di Isaiah è molto più di una disputa legale: è una riflessione sui diritti dei bambini adottati a mantenere le proprie radici culturali e a crescere in un ambiente che rispetti la loro identità. La realtà delle adozioni transrazziali evidenzia come, in molti casi, crescere in una famiglia di etnia diversa possa comportare difficoltà profonde. Gli adottati che vivono quest’esperienza raccontano spesso di sentirsi “estranei” nelle loro stesse famiglie, specialmente quando le differenze culturali ed etniche non vengono riconosciute o valorizzate.
Isaiah, crescendo in una famiglia bianca, avrebbe potuto affrontare simili difficoltà. Anche se da piccolo non percepisce ancora le differenze etniche – quando sua sorella Hannah gli chiede: “Non ti sembrano così diverse le nostre mani?”, lui risponde innocente: “È ovvio! La mia è più piccola della tua!” – crescendo si sarebbe accorto di quanto queste differenze possono pesare in una famiglia somaticamente diversa. In questo senso, il ritorno a Khaila, benché doloroso per Margaret, rappresenta una scelta che dà a Isaiah la possibilità di sviluppare una connessione più autentica con le proprie radici, senza le fratture e le dissonanze che spesso caratterizzano le adozioni transrazziali.
Ciò che rende il finale di Lontano da Isaiah particolarmente significativo è la scelta di Khaila di aprire la porta a Margaret, permettendole di partecipare alla crescita di Isaiah. Un’adozione aperta rispetta tutti i legami, di sangue e affettivi, dando al bambino la possibilità di costruire una vita in cui la sua storia, nella sua totalità, sia rispettata e valorizzata. La scelta di Khaila è un richiamo al buon senso e alla generosità: è una lezione per chiunque si avvicini all’adozione, perché ricorda che l’amore genitoriale non è un atto di possesso, ma un cammino di riconoscimento reciproco, dove il benessere del figlio è il vero punto di arrivo.