Aspettare un figlio in adozione è un tempo sospeso, diverso da ogni altra attesa. C’è l’incertezza di quando arriverà e l’immaginazione di chi sarà, e tutto questo può facilmente bloccare una coppia in una sorta di “limbo emotivo” in cui ogni decisione sembra rimandata.
Per me, la presenza di un figlio naturale ha aiutato a rendere quell’attesa un po’ più serena, senza l’ansia tipica di chi affronta l’adozione come primo percorso verso la genitorialità. Eppure, negli ultimi mesi, il desiderio di incontrare la mia bimba cresceva, e con esso l’urgenza di fare spazio nella mia vita per lei. Finalmente, dopo quasi tre anni, un bel giorno di maggio è arrivato l’abbinamento e, a dicembre, siamo partiti per l’India per conoscerla.
Negli anni Sessanta, quando mia madre ha adottato me, l’attesa era diversa: meno richieste, più bambini disponibili e tempi molto più brevi. Lei ha atteso solo tre mesi, un tempo che oggi sembra quasi incredibile.
Durante l’attesa, ci si trova in una sorta di “pausa forzata”: tutto resta in stand-by. Le vacanze? “Meglio non prenotare, e se ci chiamano proprio allora?” Anche le cose più pratiche, come ritinteggiare la casa, vengono rimandate a quando il bambino sarà a casa. “Chissà, potrebbe essere un prolifico realizzatore di murales!” La mente resta fissa sul futuro, a quel momento in cui l’adozione diventerà realtà.
Per quanto mi riguarda, ho cercato di non smettere di vivere il presente anche in quel tempo sospeso. Ho ritenuto che continuare a coltivare passioni e a nutrire i propri spazi avrebbe creato un ambiente più attivo e stimolante per il bambino che sarebbe arrivato da noi.
Peccato che allora non ci fossero i gruppi di automutuoaiuto come quelli organizzati da noi di PuntoAdozione in collaborazione con AMA Associazione Auto Mutuo Aiuto Milano Monza Brianza OdV. Possono fare davvero la differenza: confrontarsi con altre coppie in attesa, neogenitori e genitori veterani aiuta a ridimensionare le aspettative e a prepararsi a incontrare il figlio come una persona vera, che arriva con la propria storia, i propri bisogni e le proprie fatiche. L’attesa porta con sé il rischio di costruire immagini ideali, dimenticando che anche il bambino sta affrontando un cambiamento complesso.
Personalmente ritengo un errore vivere l’attesa come un semplice passaggio verso la genitorialità. L’adozione trasforma tutti i membri della famiglia, non solo il bambino. È un momento per riflettere su come cresceremo come individui, come coppia e come famiglia che cambia. È un’opportunità per lavorare su sé stessi e su quello che significa per noi la genitorialità adottiva.
Così come il bambino arriverà con un proprio bagaglio storico ed emotivo, possiamo anche noi immaginare l’attesa come una valigia da riempire con tutto ciò che ci servirà: la consapevolezza delle nostre paure, un dialogo aperto su come spartirsi i compiti e l’idea di come raccontare al bambino la sua storia con onestà e delicatezza. Fare questi discorsi prima ci permette di non restare “emotivamente congelati o stressati” e di essere più pronti quando il bambino arriverà.
Il desiderio di diventare genitori cresce inevitabilmente con il tempo, soprattutto per chi vive l’adozione come prima esperienza di genitorialità. Questo desiderio è naturale, ma è importante che non diventi tutto. Non si tratta solo di aspettare un bambino: si tratta di aspettare una crescita nostra, di scoprire nuovi modi di amare e di aprirsi all’accoglienza e anche all’imprevisto. Devo dire che questo passaggio l’avevamo compreso e rispettato, anche se non è stato facile trovare l’equilibrio giusto, soprattutto con il prolungarsi dell’attesa. Un tempo che ci era stato onestamente prospettato, ma poi è subentrata l’illusione che per noi non sarebbe stato così.
Spesso, l’attesa culmina in un’accelerazione improvvisa: quando arriva la chiamata dell’ente o del tribunale, l’urgenza è reale, e bisogna partire subito. A me e a mio marito è successo così. Per questo è importante non sovraccaricarsi all’ultimo momento. A posteriori, posso dire che prepararsi a tappe permette di affrontare il momento con più serenità e meno pressione. Organizzare le visite mediche, informarsi su centri per le malattie tropicali o eventuali patologie legate all’adozione, e prendere contatti con uno psicologo sono piccoli passi che fanno una grande differenza. Peccato che noi allora non ci abbiamo pensato e nessuno ce l’abbia consigliato.
Infine, trovare momenti non solo per distrarsi ma anche per riposarsi è fondamentale, cosa che noi non abbiamo potuto fare avendo l’altro figlio che iniziava la prima elementare. Un bambino “normale” assorbe energia, ma un bambino adottato ne richiede ancora di più, come abbiamo poi imparato: chiederà di essere duttili, di rimodularci continuamente, di adattarci non solo al suo presente ma anche a una storia che porterà con sé tutta la vita.
E la tua attesa come è o come è stata? Un periodo sospeso, pieno di speranze, incertezze e preparativi. Condividi la tua esperienza: cosa ti ha aiutato a vivere quei momenti? Hai trovato strategie per mantenere l’equilibrio nell’attesa?
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