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La relatività dell’amore

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Può il legame di sangue valere più di quello affettivo?

Dopo più di vent’anni di oblio, ho ritrovato questo romanzo disperso in una delle mie fitte librerie di casa. Quasi un tesoro d’altri tempi, con la sua copertina stropicciata e le pagine irruvidite e ingiallite dal tempo.

Una storia avvincente e provocatoria, una di quelle che ti catturano sin dalle prime pagine, perché mette in discussione le fondamenta delle relazioni umane. È stato uno dei primi libri di narrativa sull’adozione che ho letto, e il tema centrale, ancora oggi irrisolto, rimbalza tra le righe: può il legame di sangue valere più di quello affettivo?

Le sue pagine sono un’indagine appassionante sull’adozione, con le sue complessità, che continua a essere un terreno fertile di dubbi e riflessioni, suscitando emozioni contrastanti e considerazioni di tipo razionale.

In questo libro che potrebbe essere una vicenda reale, il giovane Gordon si trova di fronte a una scelta impattante sulla sua vita di ventiquattrenne tutto sommato spensierato. Abbandonato in fasce dai genitori naturali e poi adottato e cresciuto amorevolmente dai McKenna, la sua vita scorre tranquilla nel Wisconsin, finché l’amata sorella Georgia, adottata anche lei da neonata, già malata di cancro, muore in un incidente d’auto col marito Ray, lasciando orfana la piccola Keefer di solo un anno.

La tragedia s’abbatte su Mark e Lorraine McKenna, già molto provati dalla malattia della loro figlia Georgia. Decisi a continuare a occuparsi della nipotina e a tenere unito ciò che resta della famiglia, ma al tempo stesso consapevoli della loro età avanzata, chiedono al figlio Gordon di adottarla, un desiderio già espresso dalla sorella durante la malattia. La ricca famiglia di Ray, infatti, non ha mai offerto alcun sostegno, e Ray stesso era sempre distratto dal lavoro e dai suoi tornei per occuparsi della sua bimba.

«Avrebbero dovuto spiegare a Keefer quello scontro fra perdita e guadagno che è in realtà un’adozione.»

Quando Gordon supera le comprensibili paure per una responsabilità inattesa – si ritroverebbe di colpo ragazzo-padre –, l’adozione viene però ostacolata dai genitori di Ray che si appellano al fatto che il ragazzo, essendo stato a sua volta adottato, non è consanguineo di Keefer e dunque non potrebbe accampare pretese su di lei.

Ne consegue una spietata battaglia legale per l’affidamento, dove entrano in gioco dinamiche psicologiche e familiari molto ben delineate dalla scrittrice, conseguenza di esperienze vissute in prima persona. Attraverso la sua penna abile e sensibile, emergono in modo vivido i dilemmi morali, le tensioni emotive e i conflitti interiori che permeano le vite dei personaggi, offrendo al lettore uno sguardo profondo sulle complessità dell’amore familiare, dei legami adottivi e sulla ricerca di un senso di appartenenza.

«Gordon si rese conto che anche Keefer sarebbe stata una bambina adottata, così come era stato per lui e Georgia. E come Gordon, anche Keefer avrebbe datato la sua origine non dal concepimento ma dal momento in cui era entrata a far parte di quella famiglia. Ma era solo una bimba. Non si sarebbe mai ricordata di questo periodo della sua vita. Gordon stesso aveva sempre avuto la sensazione di aver vissuto in una specie di limbo, prima di essere scelto dai suoi genitori, tra una vita e l’altra».

In questo intricato intreccio di vicende, emerge un altro potente messaggio che riguarda la connessione tra fratelli non di nascita, Gordon e Georgia, che tuttavia condividono la medesima storia e un profondo legame emotivo: la scelta di Georgia di affidare la sua preziosa bambina a Gordon trascende i vincoli del sangue e ci ricorda che il vero legame familiare è quello basato sull’amore, sulla fiducia reciproca e sulla volontà di prendersi cura l’uno dell’altro, indipendentemente dalle convenzioni sociali o biologiche.

Concludo la recensione riportando altri intensi passaggi del romanzo:

Il narratore: «Una volta sua madre (ndr. Lorraine) aveva raccontato a Gordon, che ci era rimasto male per anni, della loro reazione quando avevano saputo dell’esistenza di Georgia: “Abbiamo pensato di aver vinto alla lotteria genetica! Dato che la madre era ungherese, come la mia famiglia, ed era una studentessa di medicina, avremmo avuto una figlia fisicamente simile a me e intelligente come papà!”.»

Georgia ribelle preadolescente rivolta alla madre adottiva Lorraine: «Volevate solo sostituire il bambino perfetto che non potevate avere.»

Lorraine: «Tu sei mia figlia. So solo che ti voglio bene. Voglio bene alla madre che ti ha fatta nascere. Voglio bene al padre che l’ha messa incinta. Gli permetterei di venire a vivere qui, se promettessero di non portarti via. Naturalmente tu hai sostituito la bambina che non potevo avere. Ma non l’hai solo sostituita, l’hai cancellata. Lei non è mai esistita. Quand’eri piccola, io… la gente a volte pensava che tu fossi nata da me perché ci somigliavamo così tanto. All’inizio questo mi faceva piacere. Anch’io volevo sentirmi come tutti gli altri. Ma dopo un po’ ho cominciato a seccarmi. Era come se permettersi agli altri di pensare che era meglio che tu mi somigliassi, come se fossi nata da me. Amavo te, non un facsimile di me stessa.»

Il narratore: «Con Gordon tutto era stato più facile. A volte Lorraine pensava di averlo trascurato. Come molti secondi figli, lui aveva scelto il ruolo del bambino remissivo, se non altro per conquistarsi la sua parte di attenzione. Era Georgia a comandare… Georgia era ipercritica, adorante, tiranna, indulgente, emotiva, sarcastica. Georgia era timida, tutto qui. Era stata la paura a farla diventare aggressiva. Paura del mondo.»

Georgia diventata mamma rivolta alla madre adottiva Lorraine: «Peccato che tu non mi abbia potuto mettere al mondo, mammina, mi dispiace così tanto perché tu non hai mai potuto provare questa sensazione di… essere un creatore.»

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