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“Finalmente diventiamo genitori”: perché è bene riflettere su questa frase.

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Nei gruppi social di genitori adottivi, capita spesso di leggere annunci pieni di gioia come: “Finalmente diventiamo genitori.” Ogni tanto riaffiora anche la foto di un celebre cartello affisso sulla serranda di un negozio, in cui i proprietari annunciano una chiusura temporanea perché “finalmente diventano genitori.”

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Questa frase è comprensibile, perché ogni abbinamento è un evento importante. Lo so bene, avendo vissuto la stessa emozione quando ho ricevuto la notizia che c’era una bimba in India che aspettava una famiglia. Tuttavia, proprio per questo, credo che meriti una riflessione più profonda.

Invito le coppie che ricevono un abbinamento a fermarsi un attimo e riflettere sul significato di queste parole enfatiche, sulle implicazioni che potrebbero avere per il figlio adottivo e su come potrebbero essere percepite dagli adottati che le leggono. Per alcuni, infatti, queste parole possono suonare irrispettose o suscitare una profonda tristezza.

Dietro ogni adozione c’è sempre una perdita: un bambino che ha perso i genitori naturali, la sua famiglia, le sue radici. Un annuncio come questo, incentrato sull’inizio della genitorialità adottiva, non tiene conto che il bambino arriva con una storia precedente, spesso dolorosa. L’adozione è un evento che cambia profondamente la vita di un bambino, che spesso ha già vissuto traumi come l’abbandono, la separazione o altre esperienze difficili.

Questa espressione, pur colma di gioia, mette al centro il percorso e il desiderio degli adottanti, relegando in secondo piano il vissuto del figlio adottivo. Come potrebbe percepire questa frase un adottato? Per molti, potrebbe significare rivivere il senso di essere stati considerati una “soluzione” o una “seconda scelta.” Pensieri che, sebbene difficili da affrontare, fanno parte della complessità di queste esperienze.

Inoltre, dire “finalmente diventiamo genitori” può trasmettere l’idea che l’adozione sia stata solo un mezzo per soddisfare il desiderio di genitorialità, riducendo il bambino a una “soluzione” per un problema (come l’infertilità, ad esempio). Questo, senza volerlo, rischia di spersonalizzare il figlio, che invece ha una storia, un’identità e un valore intrinseco, indipendente dal progetto degli adulti.

Per il bambino, l’adozione è un evento traumatico: si ritrova catapultato in un mondo diverso, portato a vivere con degli estranei. L’adozione non è un punto d’arrivo, ma l’inizio di un viaggio lungo, complesso e delicato, che richiede tempo, pazienza e flessibilità per costruire un legame di fiducia. Annunciare la genitorialità come un “finalmente” può trasmettere l’idea che tutto sia risolto, ignorando la realtà: il legame con il figlio adottivo non nasce automaticamente, ma si costruisce giorno dopo giorno.

Nel mondo adottivo ci si indigna spesso per le frasi ingenue dette da chi non conosce l’adozione, ma allora perché ci cascano proprio coloro che dovrebbero essere più consapevoli? È fondamentale che gli adottanti siano i primi a usare parole rispettose. Il linguaggio che usiamo racconta molto delle nostre intenzioni e delle nostre visioni. In adozione, scegliere parole che rispettano anche il vissuto del bambino può fare la differenza nel modo in cui questa esperienza viene percepita da chi la vive e da chi la osserva.

In alternativa, si potrebbe dire: ‘Siamo felici di accogliere un nuovo membro nella nostra famiglia,’ ‘Inizia un percorso importante per noi e per il nostro bambino,’ ‘Tra poco conosceremo la bambina che entrerà a far parte della nostra famiglia,’ oppure ‘Siamo emozionati all’idea di incontrare la bambina che da oggi sarà con noi.’ Ci sono tanti modi più sensibili per condividere questa gioia, che sono certa ogni coppia in attesa saprà trovare nel proprio cuore.

Queste parole spostano il focus dalla gratificazione degli adulti alla relazione, rispettando il vissuto del bambino e le difficoltà del suo ingresso in famiglia. Sono parole che accolgono, senza annullare, relegare in secondo piano o sovrapporsi alla storia del figlio.

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