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Figli unici o fratelli? Una domanda scomoda sull’adozione

Ci sono temi che restano sommersi quando si parla di adozione, sentimenti che alcuni figli adottivi portano dentro ma che raramente vengono riconosciuti o discussi apertamente. Uno di questi è il bisogno di sentirsi speciali, unici, esclusivi per i propri genitori adottivi.

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Crescere in una famiglia con altri figli – biologici o adottivi – può far emergere dubbi e insicurezze. Sono davvero importante per i miei genitori quanto lo sono gli altri loro figli? Mi vedono come una persona unica, oppure sono solo un tassello nel “progetto famiglia”? Sono ancora uno dei tanti, come lo ero all’istituto?

Personalmente, mi sono fatta questi pensieri in passato, e anche adesso, in un’età che si definisce matura, “a volte ritornano.” La mente, si sa, vaga in territori scomodi, e non sempre è possibile fermarla. Perciò spero di non leggere commenti del tipo: “Se fossi il tuo genitore ci rimarrei male” oppure “Alla tua età ormai dovresti averla superata.” Perché qui non si tratta di rassicurare i genitori adottivi, ma di riconoscere la liceità di esprimersi e riflettere sulla propria esperienza adottiva, a qualunque età. Del resto, essere adottati è una caratteristica che accompagna per sempre chi se la ritrova affibbiata.

In una famiglia con un altro figlio adottato prima di me e un figlio biologico arrivato dopo, credo di non essermi sentita “speciale” quanto avrei voluto. C’è una parte di me contenta di aver avuto una famiglia relativamente numerosa, per l’apporto che ciascuno ha dato, ma ammetto che a volte avrei voluto essere l’unica figlia, con gli occhi di mamma e papà adoranti su di me.

Qualcuno obietterà che il desiderio di sentirsi unici e speciali è comune a tutti i figli. Ma per un figlio adottivo si tratta di una dimensione particolare, che merita di essere compresa e accolta nella sua specificità, senza paragoni che rischiano di sminuirne l’importanza.

C’è, in alcune persone adottate, una sete inestinguibile di unicità, un non sentirsi mai abbastanza amati, un bisogno di esclusività che non è un capriccio: è una risposta naturale al trauma dell’abbandono. Essere rifiutati dai propri genitori di nascita lascia un vuoto profondo, una ferita che non trova spazio per guarire, soprattutto in una famiglia dove l’attenzione deve essere condivisa.

A questa emozione invisibile ai genitori adottivi, o difficile da gestire, non viene spesso dato il giusto peso. Non sto dicendo che sia meglio per un figlio adottivo essere figlio unico, né che le famiglie con più figli siano sbagliate. Ogni famiglia è un universo a sé. Ma credo sia importante riconoscere e ascoltare questi sentimenti, senza giudizio o paura, perché sono reali e fanno parte del nostro vissuto.

È anche vero che essere adottati in fratria – insieme a un fratello o sorella naturali – può facilitare il passaggio. Non si è i soli “strappati e ricollocati,” e ci si può confrontare con chi condivide la medesima esperienza. Diverso è quando gli adottati presenti in famiglia non sono imparentati tra loro e provengono da Paesi diversi: in questo caso, la dinamica può essere simile a quella di trovarsi in famiglia un figlio biologico, con tutte le complessità che ne derivano.

E voi? Vi siete mai chiesti se una persona con una storia adottiva possa vivere diversamente la propria adozione come figlio unico o in una famiglia con fratelli? Come interpretate il bisogno di sentirsi speciali che vostro figlio adottivo può manifestare? E, per i figli adottivi, cosa pensate del vostro stesso bisogno di sentirvi speciali per i vostri genitori? Lo so, sono domande scomode, ma vale la pena rifletterci.

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