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Figli biologici e fratelli adottati: l’equilibrio che cambia

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L’adozione è un viaggio che coinvolge tutta la famiglia, ma proprio perché è travolgente, può far dimenticare chi c’era prima o chi arriva dopo. Il figlio biologico, che ha vissuto la famiglia prima dell’arrivo del fratello adottato, si trova a dover ridefinire il proprio posto, il proprio ruolo, il proprio spazio emotivo. E poi c’è chi arriva per ultimo, il figlio biologico a sorpresa, quando la speranza si era ormai esaurita, trovandosi immerso in una realtà già densa di sfide.

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Per i genitori, l’adozione è una scelta. Per il figlio biologico, è una realtà che si impone nella sua vita senza che lui abbia avuto voce in capitolo.

Mio figlio è sempre stato un ragazzo paziente. Ha capito fin dall’inizio che sua sorella aveva bisogni enormi e che io dovevo esserci per lei quasi ogni minuto. E ha fatto quello che fanno molti figli biologici in famiglie adottive: si è fatto da parte. Non perché glielo avessi chiesto, non perché lo volesse, ma perché ha intuito che, in quel momento, non c’era alternativa.

Per mesi e poi anni, la mia attenzione è stata quasi tutta assorbita da lei. I suoi traumi, le sue paure, le sue insicurezze richiedevano una presenza continua, cure straordinarie. E lui, mio figlio, aveva capito che in quella lotta per l’equilibrio non sarebbe mai stato il vincitore. Ha aspettato.

Poi, un giorno, mentre sua sorella era a pranzo dai nonni, mi ha guardata e ha detto con un sorriso malinconico:

“Mamma, oggi siamo solo io e te, come ai vecchi tempi.”

Era una frase semplice, ma dentro c’era tutto: il ricordo di quando eravamo solo noi due, con papà che tornava la sera; il rimpianto per la serenità perduta; la nostalgia di un tempo in cui non si sentiva trascurato. Era il modo in cui mi diceva, senza rabbia, che qualcosa si era rotto in lui. Che forse, senza quella nuova realtà, senza quello scompiglio, la sua vita sarebbe stata più semplice.

Non sempre, però, è riuscito a essere paziente. A volte la frustrazione esplodeva. Mia figlia era totalizzante nei miei confronti: con i suoi comportamenti oppositivi caricava le giornate di tensione, mi pretendeva, e lui si sentiva sempre più ai margini. Un giorno, arrabbiato, mi ha detto qualcosa che so essere un sentimento comune a molti figli che vivono questa dinamica familiare.

Perché anch’io sono stata una sorella. Sorella di un figlio adottato e sorella di un figlio biologico.

“Tu preferisci avere un figlio adottato piuttosto che un figlio naturale.”

Lo diceva come se avessi preferito l’“avventura adottiva” alla serenità familiare già esistente. Lo diceva con il dolore di chi si sente l’ultima ruota del carro nella propria famiglia. Con la rabbia di chi si accorge che, per quanto cerchi di capire, non può evitare di risentirsi. Per lui, l’arrivo della sorella non era stato un’aggiunta, ma una sottrazione.

E io? Io non potevo negarlo. Non potevo dirgli che le cose erano uguali a prima, perché non lo erano. In quel momento, in quella situazione faticosa, facevo quello che potevo. Ma non potevo cancellare il fatto che la mia attenzione era sbilanciata.

Potevo solo ascoltarlo, puntare sul tempo di qualità e sperare che il tempo e il nostro legame – il legame con chi c’era da più tempo – ci aiutassero a ricostruire un equilibrio. Gli ho detto che capivo che si sentisse trascurato, ma che il suo valore per me non era cambiato.

I figli biologici delle famiglie adottive portano un peso diverso dal nostro. Sentirsi l’incomodo. L’elemento meno urgente. Quello che può aspettare. Il cui bisogno è meno prioritario, le cui difficoltà sono meno gravi rispetto a quelle del fratello adottato. E allora si chiudono, si fanno da parte, oppure esplodono di rabbia.

Ciò che mi ha insegnato mio figlio è che l’adozione non riguarda solo la coppia e il figlio che arriva.

A questo confesso di non aver pensato subito.

L’adozione riguarda anche chi c’era già. Chi è arrivato dopo. Chi deve trovare o ritrovare un posto in una famiglia che cambia all’improvviso.

E anche se non possiamo fare diversamente, almeno non possiamo permetterci di dimenticarlo.

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