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Essere Adottati: Il Dubbio di Meritare l’Amore

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Per un lungo periodo dopo il suo arrivo, mia figlia adottata a quattro anni di età non riusciva a sorridere nelle foto di famiglia. Si metteva in posa volentieri, anzi non riuscivo proprio a scattarne una senza che lei si precipitasse nell’inquadratura. Ma c’era rigidità nel suo corpo e una forzatura in un sorriso che finiva per piegarsi all’ingiù.

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La nascita di un bambino, in una famiglia biologica, è accolta con gioia: abbracci, regali, fotografie che raccontano un momento di amore spontaneo. Anche prima di venire al mondo, quel bambino, mentre cresce nella pancia, appartiene già a un nucleo che lo attende, lo desidera, lo celebra. In quelle foto ricordo si vedono occhi che brillano, sorrisi che trasmettono un affetto naturale e incondizionato.

Questo non accade per chi è stato abbandonato. La nascita, per un adottato, è seguita da una frattura: una separazione profonda e immediata da quel legame originario che per altri è scontato. Crescere con la consapevolezza che, al momento della propria venuta al mondo, la gioia non c’è stata o, se in parte c’è stata, è stata spazzata via dall’abbandono, lascia una traccia difficile da ignorare.

Sapere di essere stati scartati dai propri genitori naturali mette in discussione il proprio valore: “Se non ero abbastanza per chi mi ha messo al mondo, come posso esserlo per chi mi ha accolto dopo?”

Quando arriva l’adozione, vissuta da molti genitori come risposta al vuoto dell’infertilità, l’adottato può percepire quell’amore come condizionato, legato a una necessità più che a un’accettazione piena. E così, il dubbio si insinua: “Mi amano davvero per chi sono, o solo perché rappresento ciò che mancava a loro? Sono speciale per loro o sono solo una risposta a un sogno?”

Ho sempre pensato che la cosa più sana per un essere umano sia essere amati per chi si è, non per ciò che si rappresenta. Sono cresciuta in una famiglia amorevole; eppure, il dubbio ha accompagnato irragionevolmente anche me, emergendo più forte nei fisiologici momenti conflittuali con i genitori adottivi.

Anche quando l’affetto è autentico, un adottato può vivere con la sensazione di doverlo meritare, come se l’amore fosse un premio da conquistare e non un diritto. L’abbandono insegna che nulla è garantito: l’amore può essere negato, ritirato o non essere la prima prerogativa. Si vive in uno stato di adattamento continuo, cercando di conformarsi alle aspettative della famiglia adottiva per guadagnarsi un posto in una nuova realtà che non è stata scelta, ma imposta.

L’affetto che per i figli biologici è naturale e istintivo, per noi adottati è una domanda aperta, a volte una lunga lotta interiore. Si percepisce come fragile quel legame, che dovrebbe essere saldo e rassicurante, un filo che potrebbe spezzarsi al primo errore, anche per reazione da parte nostra. Questo non vuol dire che l’amore non possa sbocciare, ma il terreno su cui cresce è spesso accidentato, pieno di insidie.

Essere adottati significa convivere con l’eco di un’assenza originaria che continua a risuonare, anche nelle relazioni più nuove e preziose. Imparare a fidarsi dell’affetto ricevuto e credere di meritarlo non per aver colmato un vuoto, ma semplicemente per essere chi si è, per il fatto di esistere, è un percorso lungo e spesso doloroso.

Per questo è importante che chi si mette a disposizione per adottare inizi con il piede giusto, cioè con l’intento di scoprire la personalità del bambino e innamorarsi di questa personalità, non del fatto che il bambino diventa figlio.

Adottare è una sfida che non coinvolge solo l’adottato, ma anche chi lo accoglie. Richiede pazienza, rispetto e una comprensione profonda di sentimenti complessi, di ferite che non si vedono ma che esistono e faticano a rimarginarsi. Perché l’amore, se vuole fiorire, deve essere capace di abbracciare non solo la persona che il figlio è diventato, ma anche il passato che porta con sé e che inevitabilmente lo condiziona.

Nota: Questa mia riflessione non intende generalizzare o mettere in dubbio l’autenticità dell’amore dei genitori, ma dare voce a sentimenti comuni di insicurezza tra molti adottati, per aiutare i genitori adottivi a comprendere meglio dinamiche che possono emergere anche nella loro famiglia amorevole, e altre persone con storia adottiva a riconoscere ed esprimere queste emozioni senza paura.

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