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L’adozione non è un diritto civile. È una responsabilità profonda.

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In questi giorni ho letto tanti commenti sotto articoli e post sulla possibilità per i single di adottare: “grande conquista”, “pari diritti”, “meglio un single stabile che una coppia che litiga”.

Ma qui sta il punto: L’adozione non è un diritto civile. È una responsabilità profonda. L’adozione non è una competizione tra adulti per chi è più idoneo, né un’estensione automatica dei diritti civili come il matrimonio o la genitorialità biologica.

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La recente sentenza della Corte costituzionale, che apre ai single l’adozione piena in casi internazionali, laddove i Paesi d’origine la ammettono, sembra rafforzare questa narrazione: quella dell’adulto che rivendica un diritto.

Ma l’adozione non nasce da un desiderio.
Nasce da un’assenza.
Da una frattura.
Da una perdita.

Il bambino non viene adottato perché qualcuno lo vuole, ma perché ha perso qualcuno che avrebbe dovuto esserci.

E allora la domanda non è: chi desidera adottare? Ma: chi può davvero reggere il peso della storia che quel bambino porta con sé?

È vero, alcune coppie si sfaldano.
Ed è vero che alcuni single sono solidi, presenti, motivati.
Ma non si può costruire una legge o una prassi partendo dalle eccezioni.

C’è anche chi sostiene che i single hanno una rete di sostegno fatta di amici, parenti, persone vicine.
Ma viviamo in una società sempre più individualista, dove tanti vivono soli e le reti affettive sono spesso fragili, lontane, intermittenti.
E un figlio che arriva in adozione ha bisogno di presenza quotidiana, affidabilità reale, tenuta nel tempo.
Non si cresce con una rete “a giorni alterni”. Non si affronta il dolore adottivo con disponibilità occasionali.

L’adozione non deve essere centrata sul progetto dell’adulto, ma sui bisogni del bambino.
Non basta amare, voler bene o desiderare un figlio.
Serve reggere.
E reggere a lungo.
(Proprio qualche giorno fa ne ho scritto in un altro post dedicato al tempo nell’adozione: il tempo che serve, il tempo che sfianca, il tempo che costruisce.)

E permettetemi una nota personale.
Durante l’iter adottivo come coppia, siamo stati osservati, valutati, interrogati anche su come affrontavamo i conflitti, perfino quelli più fisiologici.
Oggi si accetta che un single presenti un contesto apparentemente armonioso, semplicemente perché non c’è un partner con cui scontrarsi.
Ma l’assenza di conflitto non è sinonimo di equilibrio. È solo assenza dell’altro.

E ai single che stanno pensando all’adozione, dico: vi riconosco il coraggio, la motivazione, la disponibilità a mettervi in gioco.
Ma fermatevi un attimo e riflettete.
L’adozione è un percorso davvero duro, che mette alla prova in profondità.
E affrontarlo da soli è, semplicemente, molto più difficile.
Non impossibile, ma richiede una forza, una rete e una lucidità straordinarie.
Ve lo dice chi l’ha vissuto da più lati: da figlia, da madre, da sorella.

E sempre dalla parte dei figli.

Perché quando il presupposto è sbagliato — quando si parte dall’idea che l’adozione sia un diritto civile dell’adulto, come anche la recente sentenza della Corte sembra suggerire — tutto ciò che ne consegue rischia di spostare il focus e generare una reazione sbagliata.

E a farne le spese, come sempre, è il bambino.

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