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La recente decisione della Corte costituzionale di aprire all’adozione ai single nell’ambito internazionale è stata accolta da molti come un passo avanti nei diritti individuali, una conquista di civiltà. Ma se ci fermiamo a riflettere, ci accorgiamo che dietro questa apertura si nasconde una discriminazione silenziosa. Si apre a una genitorialità più “flessibile” proprio dove servirebbe il contrario: una genitorialità più strutturata e supportata.
In Italia, l’adozione nazionale continua a richiedere una coppia eterosessuale. Per i bambini italiani, dunque, servono due genitori. Per i bambini stranieri, invece, ne basta uno. Come se fossero considerati meno meritevoli di una famiglia completa. Come se il loro passato doloroso giustificasse uno standard differente nella valutazione delle famiglie.
La Corte sembra non voler vedere quello che è, a tutti gli effetti, un doppio standard inquietante:
• Per i bambini italiani serve una coppia eterosessuale, come se fosse l’unica configurazione capace di garantire stabilità, affetto, protezione, sviluppo armonico.
• Per i bambini stranieri, invece, può bastare un genitore solo, come se la loro provenienza da contesti già difficili giustificasse requisiti meno rigorosi.
Proprio i bambini che arrivano attraverso l’adozione internazionale hanno storie particolarmente complicate, spesso determinate da sistemi di protezione sociale meno avanzati. Hanno vissuto abbandoni multipli o traumi profondi. Arrivano spesso in età scolare o preadolescenziale, con un’identità già formata. Portano con sé difficoltà cognitive, sanitarie o relazionali che emergono nel tempo, e un’identità culturale, linguistica e religiosa molto diversa da quella del Paese di arrivo. Per questi bambini serve una rete, un contesto ampio e preparato. E a volte nemmeno una coppia è sufficiente, se la situazione è particolarmente delicata o manca la consapevolezza del percorso che si sta affrontando.
Adozione ai single: perché solo per i bambini stranieri?
In questi casi, non si tratta di mettere in discussione la capacità di un single di essere un buon genitore — molti lo sono e lo saranno — ma di interrogarsi su perché la legge consenta loro di adottare solo bambini stranieri e non italiani. Anzi, diciamolo chiaramente: ci sono persone single che, per maturità, equilibrio e preparazione, potrebbero garantire un ambiente molto più adeguato di certe coppie non consapevoli. Ma allora, perché questa apertura vale solo per i bambini stranieri?
Non è una questione di numeri
Questa sentenza non apre davvero a un cambiamento culturale sull’adozione, ma solo a una maggiore “flessibilità” procedurale, motivata dal calo delle domande. Ma davvero pensiamo che il problema dell’adozione sia solo numerico? I dati continuano a dirci che le coppie disponibili all’adozione sono comunque molte più dei bambini dichiarati adottabili. Non è una questione di numeri, ma di visione. L’adozione non è un atto riparativo nei confronti di un adulto che desidera un figlio, ma una responsabilità enorme nei confronti di chi ha già perso una famiglia. Non basta allargare la platea dei genitori. Serve ripensare radicalmente il modo in cui pensiamo l’adozione: dal punto di vista dei figli, non degli adulti.
Altri elementi critici da considerare
1. Il richiamo all’interesse dell’adulto
La Corte, pur dichiarando che “l’interesse del minore resta prioritario”, dedica molto spazio all’interesse del singolo adulto a diventare genitore. Si rischia di legittimare sempre di più il diritto dell’adulto, invece di chiederci se quell’adulto sia davvero la risposta giusta per quel bambino. È il rovesciamento del principio base dell’adozione.
2. Un canale parallelo per l’adozione internazionale
L’apertura ai single potrebbe trasformare l’adozione internazionale in una sorta di “canale parallelo” per chi non rientra nei criteri dell’adozione nazionale.
3. Adozione ai single: può un single essere un nucleo familiare?
Dal punto di vista legale e sociale, sì. Ma se guardiamo alla questione dal punto di vista del bambino, la risposta non può essere così netta. Stiamo parlando di minori che portano con sé esperienze complesse, a volte devastanti.
Adozione ai single: non un percorso solitario
Un single può offrire amore, dedizione, presenza. Ma chi tiene quando quel single crolla, si ammala, si stanca? Chi aiuta nei momenti in cui il figlio adottivo mette alla prova, rifiuta, esplode? Chi fa da rete quando la solitudine educativa si fa sentire con forza? Questi bambini hanno bisogno non solo di un affetto individuale, ma di una rete di cura, di più voci, di più braccia, di più sguardi. Il problema, dunque, non è la condizione di essere single, ma la tenuta complessiva del progetto adottivo. Io credo che un single possa essere un nucleo familiare, ma solo se c’è molto altro attorno. L’adozione non può essere affrontata come un percorso solitario, né può essere la soluzione alla solitudine dell’adulto. Deve essere un progetto costruito a partire dai bisogni di chi verrà accolto, non dai desideri di chi accoglie.