Qualche sera fa ho scoperto questo film del 2021 di Pedro Almodóvar, Madres Paralelas, un’opera che affronta temi universali come la maternità, l’identità e la memoria. Al centro della narrazione c’è la riflessione sulla necessità di sapere chi siamo e di chi siamo figli, sia storicamente che biologicamente.
Leggi tutto: Madres ParalelasLa storia ruota attorno a Janis (Penélope Cruz) e Ana (Milena Smit), due donne le cui vite si intrecciano in modi imprevedibili, svelando verità intime e dolorose e mostrando quanto l’identità familiare possa essere fragile, se costruita su silenzi, segreti ed errori.
Janis, una fotografa quarantenne, rimane incinta per caso di un antropologo al quale aveva proposto di scavare nel sito di una fossa comune dove potrebbe essere stato seppellito il suo bisnonno, assassinato all’epoca della Guerra Civile spagnola. Alla sua età, accoglie la gravidanza come una benedizione. Al contrario, Ana, ancora minorenne, affronta una gravidanza a seguito di uno stupro di gruppo, di cui non ha piena coscienza. Janis è padrona della propria vita, mentre Ana si lascia trascinare dagli eventi. Entrambe partoriscono lo stesso giorno: Janis dà alla luce Cecilia, mentre Ana diventa madre di Anita, una bambina che le offrirà l’occasione di crescere e maturare, ma che morirà tragicamente di morte in culla.
La loro maternità è segnata dall’assenza dei padri: Janis non ha mai conosciuto il proprio, mentre Ana è stata rifiutata da un padre presente solo fisicamente. Cecilia nasce da una relazione fugace con Arturo, un antropologo forense, mentre Anita è frutto di una violenza anonima.
SPOILER: Arturo torna qualche mese dopo la nascita di Cecilia per conoscerla, ma nel vederla nota subito che non gli somiglia e nega che possa essere sua figlia. Questo spinge Janis a fare un test del DNA che rivela una verità sconvolgente: la bambina non è nemmeno sua figlia biologica. Janis sospetta uno scambio di neonate all’ospedale tra le due bambine, ma, spaventata dalle possibili conseguenze, sceglie di nascondere la verità. Decide così di allontanarsi da Ana e Arturo, arrivando persino a cambiare numero di telefono.
Guardare questo film attraverso gli occhi di chi è stato adottato significa cogliere immediatamente un punto centrale: chi siamo quando le nostre radici vengono scosse? La trama esplora il bisogno profondo di verità, il diritto a conoscere le proprie origini e il potere distruttivo del silenzio.
Janis sceglie di proteggere la bambina, convivendo con il senso di colpa, mentre Ana deve elaborare il lutto per la sua perdita. Sono due madri imperfette che però amano, ognuna a modo suo. Non un amore idealizzato, ma reale, tangibile e fallibile, che trova una soluzione nell’accettazione della condivisione della maternità: Janis, che ha cresciuto la bambina per un anno, e Ana, madre naturale.
L’amore autentico, come suggerisce Almodóvar, diventa un atto di restituzione: di verità, appartenenza e identità. È un messaggio potente, che tocca chiunque abbia vissuto una storia frammentata: l’amore non cancella il passato, ma può accoglierlo.
Un altro elemento straordinario del film è il parallelismo tra le vicende personali delle protagoniste e la memoria storica della Spagna, ferita dai segreti e dalle rimozioni legate alla Guerra Civile: l’assassinio dei padri di famiglia. La metafora è chiara: il passato non può essere sepolto, sia esso individuale o collettivo. Chi è stato adottato conosce bene il bisogno di scavare tra i pezzi mancanti della propria storia per ritrovarsi.
Un dettaglio del film che mi ha colpito, quasi ipnotizzato, è l’uso simbolico dei colori, caratteristico del regista: il rosso rappresenta la passione e l’intensità emotiva, il verde la speranza e la crescita, e il giallo-arancione la luce e la verità. Colori intensi che dominano arredi, abbigliamento e scenografia, trasformando ogni scena in un quadro narrativo.
Madres Paralelas non edulcora, non idealizza, ma celebra la complessità delle relazioni umane, delle verità scomode e del coraggio necessario per affrontarle. È un’opera che, per chi è stato adottato, parla in un linguaggio familiare: fatto di silenzi, ricerca e amore, un amore che trova spazio solo quando la verità viene finalmente accolta.