Il mio pensiero va a quella mamma che, sola e disperata, ha fatto ciò che credeva fosse il meglio per il suo bambino. Ha portato avanti la gravidanza, ha scelto di dargli la vita e, con un gesto carico di speranza e dolore, lo ha affidato a una culla termica. Probabilmente si è detta che lì sarebbe stato accolto, che qualcuno si sarebbe preso cura di lui, offrendogli ciò che lei sentiva di non poter dare.
Leggi tutto: La vita senza radici non bastaEppure, quella culla ha fallito. Un sistema non ha funzionato. E oggi piangiamo una tragedia che non doveva accadere.
Oltre al dolore per una vita spezzata così presto e insensatamente, non posso non riflettere su ciò che rappresentano le culle termiche e il parto in anonimato. Soluzioni che non “salvano” – perché salvare implica che la madre sia un pericolo per il suo bambino, e non lo è quando lo affida con amore – ma che spogliano un essere umano della possibilità, un giorno, di ritrovare le sue radici. Crescere senza sapere chi si è, da dove si viene, lascia un vuoto enorme, che nessun amore, per quanto grande, potrà mai colmare del tutto.
Le radici non sono un dettaglio. Non sono un capriccio. Sono una parte fondamentale dell’identità. Un essere umano ha bisogno di sapere chi è, da dove viene, per sentirsi intero. Ogni volta che si trova di fronte al vuoto lasciato dall’anonimato, quella ferita si riapre, perché non conoscere la propria storia significa affrontare una mancanza che può diventare insostenibile.
Privare un bambino del diritto di conoscere le proprie origini è inaccettabile. È un prezzo troppo alto da pagare, anche di fronte all’intenzione di offrire una vita diversa.
Dobbiamo fare di più per evitare che le puerpere arrivino a gesti così estremi. Dobbiamo costruire un sistema che le sostenga davvero: aiuti economici, psicologici e sociali che durino finché necessario. Un sistema che le accompagni nella possibilità di crescere i loro bambini o, almeno, di lasciare una traccia non identificativa che consenta a quei figli, un giorno, di ritrovare il loro passato.
Ogni madre dovrebbe sentirsi accolta e supportata abbastanza da non dover rinunciare al proprio figlio. E ogni bambino ha diritto alla propria storia.
Vanno offerte soluzioni che non affrontano solo le conseguenze immediate – salvare corpicini, assecondare il timore di non saper crescere un figlio o scansare scandali – rivestendole di intenzioni umanitarie. Bisogna interrogarsi sulle problematiche identitarie a lungo termine per gli adottati e sul fatto che salvaguardare la vita biologica non è sufficiente. Dobbiamo fare di più e dobbiamo farlo meglio.