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Second Chance

“Chi siamo noi per credere di essere migliori degli altri?”

Questa è, a mio avviso, la domanda clou nascosta in ‘Second Chance’, un film danese uscito ormai dieci anni fa, ma ancor oggi capace di sorprendere.

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Consiglio vivamente di vederlo, in quanto invita a riflettere profondamente sulle certezze personali e sull’imperscrutabilità della vita. La pellicola affronta il tema delle seconde possibilità per un genitore, sia esso biologico o “sostitutivo”, mettendo in luce aspetti interessanti che sono sfuggiti a chi lo ha recensito finora, ma che risultano evidenti per chi è figlio o genitore adottivo, o conosce entrambe le prospettive come me: la convinzione di essere genitori migliori per i figli degli altri e lo stigma verso la donna che, nel periodo postpartum, ha difficoltà ad accudire il proprio bambino e vi rinuncia.

In ‘Second Chance’, tutto si trasforma nel suo contrario, seguendo l’andamento caotico o imprevedibile dell’esistenza, dove le aspettative vengono ribaltate o invertite, e si affacciano altre domande: se sostenuta adeguatamente, una donna in difficoltà può trasformarsi nel tempo in una madre premurosa, mentre una madre apparentemente stabile potrebbe non esserlo?

‘Second Chance’ è un intenso dramma, una storia complessa e coinvolgente che esplora le difficoltà di due famiglie, apparentemente diverse ma unite dalla tragedia. Affronta diverse tematiche, dalla depressione post partum alla dipendenza da droghe, dalla genitorialità a tutti i costi a quella disfunzionale, dal pregiudizio al senso di giustizia distorto.

Il protagonista, l’agente di polizia Andreas (ben interpretato da Nikolaj Coster-Waldau), da poco diventato padre, sembra avere tutto dalla vita: la bella moglie Anna, una sicurezza economica e Alexander, uno splendido bambino appena nato. Una sera, si trova coinvolto insieme al suo collega Simon, in crisi da divorzio e avvezzo all’alcol, in una situazione sconvolgente durante un intervento per sedare una lite familiare in un’abitazione. Scopre un neonato chiuso in un armadio, vivo ma in pessime condizioni igieniche. I suoi genitori, una giovane coppia di tossicodipendenti, sono strafatti e ignorano gli avvertimenti di Andreas di segnalare il fatto ai servizi sociali. L’uomo, Tristan, è un poco di buono geloso che picchia la fragile compagna Sanne e le impedisce di accudire il loro bebè Sofus.

La vita di Andreas subisce una svolta drammatica quando, la stessa notte, scopre che Alexander è morto in culla. La trama si complica ulteriormente quando Andreas, in preda alla disperazione e per placare la sofferenza di Anna in preda a un crollo mentale, decide di scambiare i neonati: si intrufola nella casa dei genitori degeneri, prende Sofus, il loro figlio sano, e lascia il cadavere di Alexander all’obitorio.

Questa scelta eticamente discutibile diventa il fulcro del film, genera altre domande in una catena continua di errori e fallimenti morali. Per paura di finire nei guai, la coppia di tossicodipendenti finge che il loro figlio sia stato rapito. A seguire le indagini sarà proprio Andreas, destando qualche sospetto in Simon nei suoi momenti di lucidità.

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