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Luce

Ma quanto è potente questo film!

Dramma familiare e thriller psicologico al contempo, la pellicola è sceneggiata e diretta dal regista americano Julius Onah di origini nigeriane.

Qual è il prezzo che si paga, quando si sopprime la propria identità, storia ed etnia per conformarsi agli standard occidentali dei bianchi?

Il film solleva domande importanti sulla razza, l’identità, il privilegio, le aspettative di perfezione dei genitori (adottivi e non), mentre invita a scoprire chi è davvero Luce (pron. Luz), uno studente modello e atleta liceale, il quale, da ex bambino-soldato in Eritrea, è stato adottato da una famiglia bianca benestante negli Usa. Dopo anni di riabilitazione per guarire dai traumi, vive una condizione di privilegio rispetto agli amici afroamericani.

“Ti hanno mai chiamato così (ndr. sporco negro)? Gli domanda un giorno l’insegnante nera Harriet Wilson. “No.” risponde deciso Luce.

Una terribile accusa sollevata da Harriet porta i genitori di Luce a interrogarsi sulla vera identità del figlio: Amy e Peter sono due persone liberali, istruite, intelligenti e portatrici di certi valori. La situazione diventa angosciante soprattutto per la madre, man mano che cresce il sospetto verso il figlio. Amy scoprirà la differenza tra i valori che professa e la realtà della sua esistenza, e presto la questione si trasformerà da “Chi è lui” a “Chi sono io”. Insomma, fin dove ci si può spingere per proteggere la realtà in cui si è scelto di credere?

Luce è un personaggio complesso e ambiguo, quasi al limite del sociopatico nel suo conflittuale tentativo di decostruire la versione idealizzata di sé imposta dalle aspettative della madre e dalla pressione dell’insegnante Harriet, la quale spinge gli studenti neri alla Black Excellence.

“Io sto provando con tutto me stesso a non essere così, non posso fare a meno di pensare che sto combattendo una battaglia persa, posso esser solo un santo o un mostro.” Spiega Luce fra le lacrime alla madre. “Io sono da esposizione, il ragazzo nero che ha superato il suo tragico passato, l’esempio che l’America funziona… una merda simile… non mi piace il tokenismo… che differenza c’è tra punire qualcuno per essere uno stereotipo e premiarlo se non lo è?”

“Uno dei due ottiene dei benefici.” Risponde Amy, e Luce replica: “Quelli che tu chiami benefici sono responsabilità che non ho chiesto.”

Il film avrebbe offerto un messaggio più completo, con più spunti di riflessione rispetto a quello principale rappresentato, cioè la questione dell’identità nera, se soltanto avesse tenuto conto anche della complessità della questione adottiva, che viene invece del tutto omessa.

Chi possiede una minima conoscenza e comprensione di questa realtà, può infatti accostarsi alla storia di Luce con un giudizio meno duro rispetto alle scelte del ragazzo, fino a chiedersi se è davvero possibile ricuperare quei minori che, prima di essere adottati, restano a lungo nel Paese d’origine, dove le loro sofferenze si perpetuano quotidianamente e l’imprinting ricevuto diventa sempre più indelebile.

Attenzione spoiler!

Lo scopriamo nelle amorevoli parole di gratitudine di Luce verso i genitori e il Paese che lo ha accolto, nell’intervento voluto dalla madre, in cui il ragazzo narra la propria storia personale nell’aula magna davanti a tutta la scuola, e che contrasta con la chiusura del film poco dopo: Luce che esce a correre, il volto contorto in una maschera di rabbia.

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